Nella raccolta che si apre con quel pezzo meraviglioso che è Come si può essere siciliani? e con la sua insuperabile risposta, «con difficoltà», c’è un brano in cui Sciascia si concede, cosa abbastanza rara, qualche momento di nostalgia. Per esempio:
Chi si ricorda più della neve che i carretti portavano giù dalle neviere di montagna, coperta di sale e paglia, e di cui per le strade si gridava la vendita e dalle case si accorreva a comprarla a refrigerio delle mense estive? Due soldi di neve, quattro soldi: e la si metteva nell’apposito incavo di certe bottiglie (non ne ho più viste in giro), a far fresca l’acqua, a rendere quei fortissimi vini rossi all’illusione della leggerezza. Mezza lira di neve poi bastava a gelare quell’insieme di acqua, zucchero, limone e bianco d’uovo battuto a schiuma, che era la granita: la granita di una volta che ancora, fortunatamente, in qualche paese fuori mano è possibile trovare.
(Leonardo Sciascia, C’era una volta il cinema in Fatti diversi di storia letteraria e civile, Sellerio, 1989 – oggi è disponibile l’edizione Adelphi)
Leggo e penso alla fessaggine della mia isola: solo ai siciliani si poteva vendere la neve come un bene esotico. Poi alla genialità utilitarista della mia isola: solo i siciliani potevano pensare la neve per quel che in effetti è, ovvero materiale da granita.
Poi penso che io sono di Messina, e modestamente le nostre granite non hanno niente a che fare con le poltiglie che il povero Leonardo si sarà dovuto sorbire a Racalmuto.